Violet Oaklander ha affermato più volte che ama molto l’approccio centrato sul bambino e lo trova interessante.
Apprezza il lavoro di Virginia Axline, e in particolare il lavoro di Clark Moustakas.
L’obiettivo di questo articolo è mettere a fuoco le somiglianze e le differenze tra la Gestalt Play Therapy e la Terapia Centrata sul Bambino.
Possiamo riconoscere la radice comune sia della Gestalt che della terapia centrata sul cliente;
La radice è comune perché entrambe fanno parte delle terapie umanistiche. Inoltre entrambi i modelli vengono dall’approccio fenomenologico esistenziale alla psicoterapia, come esplicitamente dichiarato dai fondatori dei due approcci Perls e Rogers.
Cosa vuol dire questo in parole semplici? In pratica come questo influenza il lavoro terapeutico?
Nella mia opinione Il punto centrale è il concetto di intenzionalità.
L’intenzionalità è l’elemento centrale degli approcci umanistici. Nell’approccio cognitivo comportamentale non sembra esserci un reale interesse per l’intenzionalità.
Sebbene negli ultimi anni ci sia stato un cambiamento sensibile, la radice dell’ approccio cognitivo-comportamentale (vedi ad esempio Beck, 1975) vengano utilizzati dei protocolli sul cliente, come dei tecnici (perturbatori strategici, sempre secondo Beck) . Nella tradizione psicoanalitica l’intenzionalità compare, ma un ruolo assolutamente diverso in quanto prevalentemente inconscia.
Diversamente la Gestalt Play Therapy e la Terapia Centrata sul Bambino assumono che la persona ha il proprio libero arbitrio e responsabilità e che il sentiero verso il cambiamento non possa essere unicamente strategico. Il fuoco del terapeuta è sulla relazione, il che significa che si fanno cose con il cliente e con la propria intenzionalità, emotività e sentimenti e non come tecnici neutri.
In questo senso la Gestalt Play Therapy e la Terapia Centrata sul Bambino hanno molto in comune. Sono per così dire figlie della cosiddetta terza via della psicoterapia.
In entrambi gli approcci il terapeuta deve sviluppare un caldo e amichevole modo di relazionarsi con il bambino.
La relazione è la culla dove avvengono i cambiamenti terapeutici.
In entrambi gli approcci, la Gestalt Play Therapy e la Terapia Centrata sul Bambino, la direzione è accettare il bambino per quella o quello che è.
Nelle parole di Violet Oaklander onorare il bambino, onorare la resistenza che è quello che la bambina fa per prendersi cura sicura di sé stessa e dei suoi bisogni e cerchiamo di mantenere un fermo proposito di essere non giudicanti.
In concreto questo significa non dire questo è il tuo problema oppure tu devi eccetera.
Si instaura un ambiente permissivo nella relazione in modo che i bambino si senta libero di esprimersi completamente.
Questo non vuol dire naturalmente, per dirla con A. Neill, confondere libertà con licenza.
È fondamentale il concetto di presenza:
Il terapeuta è presente qui e adesso con i suoi sentimenti, confini e il diritto di prendersi cura sia del cliente che di se stessa o se stesso.
Rogers nei suoi ultimi libri e articoli ha scritto che tutta la forza del terapeuta può essere riassunta in un’unica capacità: Essere quello che si è. E naturalmente questo è più complicato di quello che sembra.
La terapia è orientata al processo più che orientata al contenuto.
L’enfasi è su come il cliente è, si comporta e sente più che su cosa specificatamente fa o dice. Il punto fondamentale non è il risolvere problemi, ma lo stare meglio.
In entrambi gli approcci il terapeuta cerca di potenziare la responsabilità nei clienti.
Questo può significare fare scelte, affermazioni su se stessi ed esprimere sentimenti ed emozioni.
Ma fra i due approcci esistono anche diverse differenze, sottolineate In qualche occasione dalla stessa Oaklander.
Violet Oaklander pensa che il suo modo di lavorare non è propriamente non direttivo.
Ha scritto che la terapia della Gestalt nella sua opinione è efficace con i bambini anche perché è direttiva e focalizzante.
Violet descrive il processo terapeutico durante le sessioni come una danza.
A volte conduce il terapeuta, altre volte lo fa il bambino. La sessione si focalizza su alcuni aspetti per adattare il processo agli obiettivi e al tempo a disposizione.
A volte il terapeuta può proporre suggestioni, psicoeducazione o addirittura integrazioni teoriche.
Nella terapia centrata sul bambino il bambino conduce e il terapeuta segue.
La responsabilità è più partecipativa nell’approccio Oaklander.
Nella terapia della Axline la responsabilità del cambiamento è data al bambino.
Nell’approccio di Violet Oaklander il terapeuta prepara le esperienze anche per facilitare il cliente nell’affrontare particolari emozioni che sono spesso correlate ai problemi che portano i bambini in terapia.
Un classico esempio di questo è il lavoro sulla rabbia.
Nel modello Oaklander uno strumento terapeutico specifico è il particolare uso di tecniche proiettive.
Il terapeuta pone domande specifiche ai bambini, gli dà suggestioni e possibilità di impossessarsi delle proiezioni e di mettere in relazione quello che fanno e dicono con la loro vita.
Un’altra differenza sensibile si trova in quello che Violet Oaklander chiama self nurturing.
In questo punto del processo il terapeuta lavora espressamente sugli introietti e sulle parti dissociate, e provvede per queste parti la possibilità di essere presenti nel sè, e strumenti specifici per essere integrati.
Questo è un’altra parte dell’approccio leggermente più direttiva rispetto a quello centrato sul bambino.
Per quanto riguarda le cosiddette resistenze, che io personalmente preferisco chiamare difese, Violet Oaklander raccomanda di rispettarle e di onorarle.
Ma in ogni caso come terapeuti applichiamo delle specifiche intenzioni per testarle e andare più in profondità e aiutare i bambini a essere più un contatto.
Violet raccomanda di verificare il contatto durante ogni sessione e suggerisce molte tecniche specifiche per facilitare ai bambini l’essere presenti in maniera più profonda che possono.