La Gestalt e lo sviluppo: Difese e Introietti

epistemologia

gestalt teoria sviluppo introietti

Di Giandomenico Bagatin

Cosa dice la Gestalt sullo sviluppo?

Il fondamento della teoria della Gestalt di Perls è la teoria del sé.

Il sé non come struttura, ma come funzione di adattamento creativo all’ambiente.

Il sé è una manifestazione della totalità dell’individuo, tendenzialmente avulso dalle cristallizzazioni e connesso con il flusso del vivere. Esiste pertanto un’infinita gamma di interazioni possibili tra l’organismo che si sviluppa e il suo ambiente, che è uno dei due poli della relazione e partecipa in modo determinante nell’influenzare lo sviluppo dei processi psichici e la stesura delle mappe soggettive del mondo.

Gestalticamente la radice di questa concettualizzazione è la teoria del campo di Lewin.

Kurt Lewin già nel ’36 scriveva di un “campo multi determinato” e della “molteplicità delle possibilità” dell’interazione relazionale, “che implica incertezza”. In un certo senso, questo avvicina una ipotetica pedagogia gestaltica alle idee di Vygotskij: i processi psichici superiori hanno una natura sociale.

Tutto questo sembra darci pochi riferimenti a proposito di cosa si sviluppa e a che scopo, e con cosa abbiamo a che fare facendo psicoterapia con i bimbi.

Anche nella teoria del sé troviamo due costrutti che, sebbene espressi in termini di funzione, paiono di prospettiva pseudo – innatista; ci possono essere però di grande utilità nella nostra mappa del mondo del bambino.

  1. Le difese

Non ripercorreremo qui il concetto di difesa in senso psicoanalitico. Ci limiteremo ad anticipare che le difese sono modi peculiari del sé di gestire lo scambio con l’ambiente, che possono tendere a sclerotizzare e fossilizzarsi, diventando modalità ripetitive e automatiche che si attivano per abitudine, quasi indipendentemente dagli stimoli ambientali.

Violet Oaklander definisce le difese (“resistenze”) come l’alleato del bambino, il modo (spesso alla lunga inefficace) attraverso il quale il bambino si prende cura di sé, per difendere le sue parti fragili.

L’idea fondamentale è che in una sessione di terapia io possa dare al bambino uno spazio talmente sicuro da permettergli di esplorare il contatto emotivo, intellettuale, corporeo e sensoriale con il mondo oltre le difese e rinforzare le parti di sé fragili, che così non avrebbero più bisogno di essere difese.

Nutrire le parti del sé fragili significa offrire al bambino la possibilità di accedere intuitivamente, empaticamente a delle interiorizzazioni positive sul risultato dei suoi comportamenti creativi e in contatto con il setting e il terapeuta. Approfondiamo quindi il concetto degli introietti.

  1. Gli introietti

La Gestalt è figlia della psicoanalisi. Un concetto, elaborato in parallelo dalla Gestalt e dalla psicoanalisi post freudiana, è quello degli introietti. Questo concetto è stato ripreso da Violet Oaklander che ne parla diffusamente e ne fa una delle principali aree di lavoro in psicoterapia infantile.

All’interno della corrente psicoanalitica, possiamo parlare di introietti in modo compatibile con quello gestaltico dalle controversie tra la scuola kleiniana e quella di Anna Freud. Melanie Klein sposava di fatto l’idea che abbiamo definito socio – educativa. Il sé è intrinsecamente antisociale, e va contenuto con forza per essere efficacemente socializzato.

I sostenitori della figlia del fondatore della psicoterapia, Winnicott prima e successivamente tutta la corrente della psicoanalisi dell’io (Kernberg, Stern, Kohut) identificano invece l’aggressività come la manifestazione del sé arcaico frustrato. L’io (la parte del sé coesiva secondo Kohut) e i meccanismi di difesa (la parte frammentata) sono il prodotto del tentativo di integrazione tra l’organismo e l’ambiente, o tra il sé e l’oggetto (Hartmann).

Anche nel super – io, la psicoanalisi distingue tra la parte di senso di colpa (il biasimo dei genitori per qualcosa che non va, il “no”) , e l’ideale dell’io (l’orgoglio dei genitori, il “sì”, il “bravo” o “brava”).

Kohut identifica il concetto di interiorizzazione trasmutante: la possibilità cioè di interiorizzare oggetti sé nutrienti. Bion parla di funzione Alfa come l’interiorizzazione di oggetti sé positivi, e di funzione Beta come del processo di interiorizzazione di esperienze negative come lutti e traumi.

Fritz Perls parla del comportamento di doverismo (persone che si muovono goffamente nel mondo attraverso il moralismo, le idee preconfezionate, il “tu devi”) come il risultato di un sistematico utilizzo del meccanismo di difesa dell’introiezione, (tipicamente della famiglia d’origine, idee e valori non masticati e digeriti, morale e non etica).

Violet Oaklander dice che i bambini piccoli non sono in grado di difendersi dagli introietti che continuamente spariamo loro addosso.

La maggior parte di essi dureranno tutta la vita, e il massimo che potremo fare è imparare a maneggiarli meglio. Naturalmente non tutti gli introietti sono negativi. Ma spesso i bambini ne portano diversi in terapia.

Possono essere frasi dei genitori, ma anche espressioni non verbali. Inoltre, essendo i bambini egocentrici, e sentendosi in colpa per tutto ciò che di negativo gli succede intorno, possono introiettare stati delle persone che li circondano anche se non hanno nulla a che fare con loro. Ad esempio, quando una mamma ha frequenti mal di testa, una figlia può sentirsi cattiva.

Anche frasi positive possono trasformarsi in introietti negativi. Ad esempio se diciamo “sei il bambino migliore del mondo”, nostro figlio si trova in imbarazzo; da una parte è orgoglioso, dall’altra sa perfettamente che quello che gli abbiamo detto non è vero (proprio ieri è stato cattivo), e il risultato è di frammentazione.

Per produrre delle interiorizzazioni positive, è utile essere specifici, con frasi come “mi piace il modo in cui hai messo a posto i tuoi giocattoli” o “mi piace tanto il modo in cui hai usato i colori in quel disegno, quando li guardo mi fanno sentire bene”.

Leave a Comment:

Leave a Comment: